giovedì 28 giugno 2018

Obbedire

Cosa rappresenta il testo "Tu non uccidere" di Mazzolari?  È la vera incrinatura al concetto di guerra giusta? 
Che effetto ha avuto concretamente se poi anche guerre non giustificate e contrastate dai papi, come quella in Iraq, non hanno comportato la disobbedienza di massa o almeno significativa dei cattolici? 
Resta sempre prevalente l'obbedienza all'autorità legittima? 



Le risposte di Anselmo Palini dall'Extra di Città Nuova

La storia per don Mazzolari è stata veramente “maestra di vita”: dopo aver conosciuto direttamente come cappellano militare il primo conflitto mondiale con tutte le sue immani atrocità, dopo aver percorso gli anni della devastante seconda guerra mondiale,  il parroco di Bozzolo non  ritiene più concepibile che un conflitto possa essere eticamente accettabile o giustificato. Da qui la declinazione di un nuovo vocabolario per la parola pace. Tu non uccidere è così il frutto dell’esperienza di una vita, la conseguenza di un’attività pastorale attenta a leggere la realtà e protesa a individuare nuove strade da percorrere. Tutta questa nuova riflessione affonda le sue radici nel  Vangelo, un testo che per don Mazzolari è da prendere alla lettera, senza aggiunte.

Di fronte alla guerra il cristiano è un uomo di pace, non un  uomo in pace. Per don Mazzolari la guerra è sperpero di risorse, di beni, di vite umane. Di fronte ad una tale situazione il credente non può tacere o muoversi lentamente. Inoltre, chi ritiene in coscienza che ogni guerra sia un peccato, ha il dovere di agire di conseguenza e dunque di non collaborare in alcun modo con tutto ciò che ha a che fare con la guerra. Anche se la Chiesa e la teologia ancora non lo affermano, don Mazzolari ritiene che vi sia in tali casi il dovere all’obiezione di coscienza nei confronti della guerra intesa sempre come peccato .

La dottrina tradizionale basata sulla guerra giusta per don Mazzolari non regge più. Le condizioni storiche sono cambiate e la Chiesa ne deve prendere atto e rivedere le proprie posizioni. Se la guerra aggressiva è ormai insostenibile anche per la Chiesa, pure quella difensiva, alla quale si riferisce la teoria della guerra giusta, è moralmente inaccettabile, poiché nella realtà odierna spesso non è possibile, data la complessità della situazione, stabilire chi è l’aggredito e chi è l’aggressore. Da secoli tutti affermano di fare la guerra per difendere il bene e la giustizia. In realtà la guerra serve a salvaguardare precisi interessi.

 

Don Mazzolari affronta anche il problema della resistenza all’oppressore: è lecito opporsi con la forza e con la violenza?   

La sua posizione è chiara: si tratta di trovare un’altra strada per opporsi al male e per resistere; si tratta di rifiutare un atteggiamento passivo e di fuga dalle proprie responsabilità attuando una forma di opposizione che si basa su mezzi diversi dall’uso della forza e dalle armi.

 

Scrive don Mazzolari:

«C’è chi trova legittimo e doveroso opporre forza a forza: ora noi, in considerazione della sincerità che crediamo di riscontrare anche nella nostra coscienza e nella nostra esperienza, domandiamo semplicemente se non possiamo sostituire alla resistenza della forza la resistenza dello spirito, senza venir meno con questo all’impegno della resistenza. […]. Non si rinuncia a resistere, si sceglie un altro modo di resistere, che può parere estremamente folle, qualora si dimentichi o non si tenga abbastanza conto dell’orrendo costo della guerra, la quale non garantisce neppure la difesa di ciò che vogliamo con essa difendere».

 

La resistenza che don Mazzolari propone è quella nonviolenta, che si situa idealmente sulla scia degli insegnamenti di Gandhi e di Martin Luther King. Solamente la nonviolenza può abbattere le divisioni e le inimicizie; la guerra e la violenza invece moltiplicano i problemi ed i contrasti, diffondono odio e desiderio di vendetta. Don Mazzolari precisa chiaramente poi il significato del termine nonviolenza. Scrive il parroco di Bozzolo in Tu non uccidere:

 

«La nonviolenza non va confusa con la non resistenza. La nonviolenza è come dire: no alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza, non dicono né sì né no. La nonviolenza si manifesta nell’impegnarsi a fondo. La nonviolenza può dire con Gesù: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada». Ogni violento presume di essere un coraggioso, ma la maggior parte dei violenti sono dei vili. Il nonviolento, invece, nel suo rifiuto a difendersi è sempre un coraggioso. Lo scaltro che adula il tiranno per trarne profitto e protezione, o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza bensì gioca con essa al più furbo. La scaltrezza è violenza doppiata di vigliaccheria ed imbottita di tradimento. La nonviolenza è al polo opposto della scaltrezza: è un atto di fiducia nell’uomo e di fede in Dio; è una testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico».   

Vi è poi la condanna chiara e netta della corsa agli armamenti, definita «una follia: le armi si fabbricano per spararle. L’arte della guerra si insegna per uccidere». Da tempo, denuncia don Mazzolari, si tengono congressi e riunioni per ridurre gli armamenti, ma intanto si inventano sempre nuovi micidiali ordigni. Se si condanna la guerra senza alcun tipo di eccezione, allora è possibile iniziare a ridurre gli armamenti; se invece si ammette che in alcuni casi la guerra è giusta, allora anche gli armamenti sono ammessi.

Con papa Francesco la Chiesa ha espresso parole chiare e nette contro la guerra e contro la logica degli armamenti. Ma anche con Giovanni Paolo II ciò era avvenuto ad esempio in occasione della guerra in Iraq. Ma questo non ha posto problemi ai credenti presenti nelle forze armate. Speriamo che la situazione cambi.

Il primo passo è da fare è quello di superare condizioni assolutamente incompatibili con un messaggio di pace, come quelle dei cappellani militari, persone inserite nella struttura militare e spesso con anche i gradi di ufficiali. E’ possibile assicurare l’assistenza a quanti sono sotto le armi senza entrare in tale struttura in modo organico.

Un altro passo andrebbe fatto: affermare chiaramente che il credente non può avere nulla a che fare con le armi di distruzione di massa e dunque, per fare un esempio, non potrebbe svolgere compiti militari in quella strutture, come nella base di Ghedi (BS), dove vi sono bombe atomiche.

E infine, tornando al cristianesimo delle origini, cominciare a riflettere sul fatto che con il comandamento dell’amore non va d’accordo l’impugnare le armi, come Mazzolari ben insegna in Tu non uccidere. Sarebbe questa una posizione di grande profezia.



 

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