A proposito della Libia arrivano, nel luglio 2018, notizie di persone migranti che rischiano la vita sui gommoni perchè fuggono per chiedere asilo e rischiano di essere riportate nei campi di dentezione dove sono esposti a gravi violenze e umiliazioni.
Ma sono in pochi a tener presente l'origine del caos con l'intervento armato voluto fortemente dalla Francia nel marzo 2011, Ecco la foto del vertice internazionale che diede via libera il 19 marzo all'operazione bellica
U.S. Secretary of State Hillary Rodham Clinton poses for a family photo with world leaders at the crisis summit on Libya at the Elysee Palace in Paris, France, on March, 19, 2011. [State Department photo/ Public Domain]
Dal dossier Disarmo di Città Nuova riprendiamo degli stralci dell'intervista fatta a Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, per avere un suo parere di ricostruzione dei fatti e delle responsabilità di un avvenimento accaduto effettivamente pochi anni addietro. Un punto di vista che si può condividere o meno,soprattutto nelle conclusioni, ma che dimostra il livello di consapevolezza che esiste a livello di analisti della guerra.
Come si spiega allora il sostegno del nostro Paese
alla guerra contro la Libia di Gheddafi nel 2011? Oggi quasi tutti, a partire
dai vertici militari, ne parlano come di un errore…
Non è stato un errore. Siamo stati obbligati in forza
di un ricatto. Il venerdì santo di quell’anno è venuto a Roma il presidente
della commissione steri del senato Usa, John Kerry, per parlare con Berlusconi
che aveva assicurato il mancato intervento diretto in Libia da parte
dell’Italia che pure assicurava le basi alla Nato per colpirla. Il giorno di
Pasqua Obama stesso telefona al presidente del consiglio italiano che, il
giorno dopo, annuncia la partecipazione della nostra aviazione ai bombardamenti
in corso sul Paese Nordafricano. Berlusconi ha dovuto cedere a pressioni
fortissime contravvenendo ad un trattato internazionale bilaterale firmato con
Gheddafi che prevedeva, tra l’altro, la non aggressione tra i due Paesi e il
divieto di fornire basi a terzi per condurre attacchi.
Quella guerra serviva a destabilizzare una regione ma
sarebbe stata impossibile da condurre per gli Stati Uniti senza l’utilizzo
delle basi italiane, se non al prezzo di un impegno di forze e di uomini che il
congresso americano non avrebbe mai autorizzato Obama a dispiegare.
Anche perché Gheddafi aveva cominciato a collaborare e non era più visto come
il feroce nemico dei tempi di Reagan. All’epoca l’Unione africana fece notare
che la caduta di Gheddafi avrebbe portato il caos nel Shael con l’effetto
di avere una Somalia (stato fallito, ndr) affacciata sul Mediterraneo. Un tipo
di analisi che anche gli analisti hanno fatto con piena consapevolezza, come è
facile immaginare. Allo stesso tempo il ritiro deciso da Obama in maniera
affrettata dall’Iraq nel 2011 ha comportato l’entrata in quel Paese delle forze
Isis che hanno preso facilmente il controllo nella parte nord.
Ma nel caso libico non è stato predominante
l’interesse francese?
La loro belligeranza è stata funzionale agli interessi
degli americani ed è stata evidente l’intenzione di Sarkozy di voler
sottrarre gli affari agli italiani, ma anche per loro si è trattato di un
autogol perché il caos conseguente non ha portato affari neppure a Parigi.
Come se ne esce ora ?
Molti rimpiangono Gheddafi. Manca un uomo forte
capace di controllare il territorio. Haftar sta crescendo sempre di più,
gestisce quasi la metà del territorio nazionale e si sta espandendo ma l’Italia
fa bene ad appoggiare il premier al-Sarraj perché controlla o
esercita un’influenza sulla Tripolitania, cioè sulle zone strategiche da
dove partono i migranti e dove è situato il terminal del gasdotto che porta il
gas libico in Italia. Dobbiamo sostenere il primo ministro libico Fayez
al-Sarraj per farlo trattare alla pari con Haftar che riceve il sostegno della
Russia. Putin ha interesse a fermare il terrorismo islamista che minaccia
di espandersi non solo nel Caucaso, dove già esiste, ma di contaminare quel 15%
di popolazione musulmana in Russia che, estremizzata, potrebbe far insorgere
una guerra civile devastante.
Quindi non basterebbe un accordo tra le maggiori
potenze per fermare l’incendio in corso in Libia ?
Certo. La Russia ha interessi comuni con l’Europa, ma
questi sono molto diversi da quelli degli Usa che, con Trump, apertamente
hanno dichiarato una ostilità aperta, già in sordina sotto Obama, verso la
Germania inteso come Paese leader dell’Europa.
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